Ringrazio il Fatto Quotidiano per la preziosa e puntuale informazione che quotidianamente fa, quello che Luca Mercalli scrive è molto preoccupante, è necessario che ognuno di noi si mobiliti affinché le parole del Vescovo Bregantini "non bisogna mai dire la parola oramai perché da lui considerata una bestemmia" Quindi non arrendiamoci siamo sempre vivi che le nostre convinzioni sono quelle giuste e continuiamo a portale avanti senza se e senza ma.
Tav,
il silenzio degli arroganti
di Luca
Mercalli
Caro Monti, nonostante i
dubbi espressi anche dalla comunità scientifica, persiste il rifiuto delle
istituzioni a ridiscutere il progetto. Non si capisce la ragione di tale
ostinazione
Caro presidente Monti, l’8
gennaio a Che tempo che fa le ho donato una copia del mio libro Prepariamoci e Lei,
squisitamente, mi ha stretto la mano e detto “Ne abbiamo bisogno”.
Un mese dopo assieme ad alcune
centinaia di docenti di atenei italiani, ricercatori e professionisti (inclusi
Vincenzo Balzani, Luciano Gallino, Alberto Magnaghi, Salvatore Settis) firmavo
un appello per sollecitare una Sua riconsiderazione delle argomentazioni
tecnico-economiche a supporto della linea ad alta capacità Torino-Lione, che da
anni risultano non convincenti.
A tutt’oggi non solo non è
giunto un Suo cenno di considerazione, quanto piuttosto la perentoria
affermazione che i dati sono definitivi e invarianti, le decisioni sono assunte,
il progetto deve andare avanti anche manu militari. Non mi aspettavo una tale
chiusura, ora fonte di una profonda spaccatura in una parte del mondo
intellettuale e scientifico italiano.
IL DIALOGO,
soprattutto tra rappresentanti dell’ambito della
ricerca usi ad argomentare secondo il metodo scientifico, non si dovrebbe mai
negare nei paesi democratici, a maggior ragione allorché la controversia assume
vaste proporzioni coinvolgendo l’ordine pubblico e sollevando una quantità di
dubbi, ambiguità e contraddizioni che invitano a un’ulteriore dose di prudenza e
approfondito riesame. Ciò non è purtroppo avvenuto, ed è motivo di profonda
frustrazione da parte di molti di noi. A nulla è servita la lucida presa di
posizione di Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino, già membro
dell’Osservatorio tecnico, sui vizi procedurali del processo decisionale tanto
difeso come il migliore possibile, a nulla la precisazione di Monica Frassoni
dei Verdi europei sulla labile politica comunitaria dei trasporti ancora tutta
da consolidare e sbandierata invece come patto d’acciaio da rispettare senza se
e senza ma. L’elenco di atti e studi incongruenti, unito a un insopportabile
tasso di menzogne mediatiche, è così lungo che da solo basterebbe a fermare,
vieppiù in questo momento di crisi, ogni decisione su questo fronte, a favore di
altre priorità che non pongono dubbi di sorta: ammodernamento della rete
ferroviaria esistente, cura del dissesto idrogeologico, riqualificazione
energetica degli edifici, arresto del consumo di suolo, riduzione dei rifiuti,
restauro del patrimonio culturale, estensione capillare della connettività
Internet, garanzie di assistenza sanitaria e didattica pubblica, per perseguire
le quali non si sono mai visti blindati e manganelli! Un mito aleggia sopra quel
tunnel impedendo a politici, giornalisti e cittadini di alzare il velo e
chiedersi come stanno veramente le cose, anche in Francia dove i lavori non sono
affatto iniziati. È forse il mito futurista della velocità sferragliante,
peraltro sorpassato dall’aereo e dal bit, unito all’illusione che da quel buco,
e solo tra vent’anni, defluiscano da ovest prosperità e progresso? Eppure già
oggi chiunque voglia andare a Parigi o alle Maldive lo può fare quando e come
desidera! Ma la mancanza di quel tunnel sotto il massiccio dell’Ambin,
infrastruttura rigida e obsoleta nelle sue finalità, foriera di debiti
insanabili come dimostrato dalla Corte dei Conti su progetti analoghi, vorace di
energia e prodiga di emissioni climalteranti, sembra privi tutti di un talismano
viscerale.
Personalmente, come
ricercatore e giornalista, il rifiuto a discutere l’estrema complessità di
questo progetto, mi avvilisce, e mi annienta come cittadino. Faccio mia
l’accurata analisi sociologica di Marco Revelli confermando che in me il patto
civile con lo Stato sta andando in frantumi. La fiducia nelle istituzioni, da me
sempre onorata – dal servizio militare (alpino, ovviamente!) al pagamento delle
imposte – sta venendo meno e ora un grande vuoto alberga in me. Non resta che un
grido di disperazione di fronte a tanto disprezzo e a tanta arrogante violenza
fisica e ancor più psicologica esercitata dalle istituzioni su una comunità.
Violenza silente, della quale non si parla mai perché offuscata dalle sassaiole,
ma dimostrata in questi casi dai lavori del geografo Francesco Vallerani e dagli
psicologi Roberto Mazza dell’Università di Pisa e Ugo Morelli dell’ateneo
bergamasco.
Quel grido chiede ascolto, e
ovviamente discussione argomentata e rigorosa. Invece ci si sente dire:
rispettiamo chi ha posizioni contrarie, ma andiamo avanti lo stesso con le
ruspe, applicando “un mix di dissuasione e repressione”. Ma allora a cosa serve
esprimere posizioni contrarie se non vengono discusse le ragioni del no? Mauro
Corona la chiama “democratura ”. Al liceo, Silvio Geuna, medaglia d’argento al
valor militare, ci diceva che alla sua età avanzata aveva solo il ruolo di
plasmare i valori della futura classe dirigente. Oggi a 46 anni, noto che il mio
futuro continua a essere determinato da anziani signori con idee molto diverse
dalle mie e quindi dichiaro fallito l’investimento culturale e civile su di me
da parte della nazione.
PEGGIO ANCORA
si sentono i giovani ricercatori della
generazione che mi segue che vedono sbarrate le possibilità di indirizzare il
loro futuro in direzioni differenti da quelle oggi dominanti e perniciose. Come
diventerà dunque la nostra società che annienta i germi di riflessione
sull’avvenire proprio quando l’instabilità epocale alla quale andiamo incontro
richiederebbe il massimo della cooperazione di saperi e proposte non
convenzionali? Avremo quel buco, forse, tra tanti anni, ma che ne sarà del resto
attorno? Il governatore Cota si è chiesto da dove prendono i soldi i No-Tav: da
migliaia di ore di lavoro volontario, sottratto a svago e famiglia, si chiama
partecipazione civile.
Con molta amarezza rifletto
dunque se sia utile impegnarsi per la difesa dei beni comuni o se sia meglio
spendere la propria esistenza in occupazioni più divertenti. Se arriverò a
quell’ultima conclusione, restituirò la mia qualifica di cittadino e opererò
soltanto per mio bieco interesse
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