Non si può più aspettare
di Giovanni Sarubbi
Una giornata diversa al Giro d'Italia. E' quella che ho passato
domenica 13 maggio lungo la strada che da Montemiletto (AV) sale verso il Lago
Laceno in Contrada Bosco insieme agli operai della Irisbus, la fabbrica di
pullman di Flumeri(AV) chiusa dalla FIAT lo scorso dicembre. Siamo a circa
cinquanta km dall'arrivo previsto su al Lago Laceno a 1100 metri di quota.
Contrada Bosco, un po' di chilometri tutti in salita, un po' di
case immerse nella campagna. Alberi di frutta, olivi, vigneti. La strada è
diritta, la pendenza è forte, sarà dura per i ciclisti affrontarla. Ma il nostro
pensiero non va affatto a loro. Quando arriviamo, verso le 14.30 provenendo da
Paternopoli, troviamo all'incrocio la strada bloccata. C'è un posto di blocco,
su quella strada di li a poco deve passare il Giro. C'è una pattuglia della
Guardia di Finanza e alcune persone con la divisa della Protezione civile. Non
era il posto che ci eravamo prefissi di raggiungere ma va bene lo stesso, anzi è
ottimo. Parcheggiamo le auto e ci dirigiamo lungo la strada dove di li ad un ora
passerà il Giro fermandoci ad un centinaio di metri dall'incrocio.
Ci eravamo dati appuntamento a Grottaminarda alle 13. Da li siamo
partiti verso le 13.30. Volevamo arrivare nei pressi di Lapio, ma le strade sono
state bloccate. Il posto era stato scelto con cura ma forse siamo partiti troppo
tardi. Dobbiamo fare così diverse deviazioni rispetto al percorso previsto. Chi
guida la piccola colonna di auto conosce bene la strada. Dopo molti giri
finalmente incrociamo il percorso del giro. Siamo una cinquantina, una
quarantina sono gli operai dell'IRISBUS che aprono immediatamente i loro
striscioni. Insieme a loro ci sono alcuni rappresentanti di forze politiche, ci
sono i due segretari provinciali di Rifondazione e dei Comunisti Italiani,
alcuni giovani. La presenza degli operai fa uscire dalle case molta gente. La
contrada, che sembrava deserta, si anima come d'incanto. La solidarietà è
immediata. Gli irpini conoscono bene la vicenda dell'Irisbus, unica fabbrica di
pullman italiana chiusa dalla Fiat che sta man mano chiudendo i suoi
stabilimenti per andarsene negli USA. Lo sanno anche i semplici cittadini di
Contrada Bosco. In Italia la FIAT oramai si interessa solo della Juventus che
qui in Irpinia ha molti tifosi.
Nessuno si aspettava di trovarci li perciò non ci sono telecamere.
Del resto, pur essendo stato diffusa l'idea di fare un'azione in occasione del
passaggio del Giro, nessuna sapeva i dettagli e a quell'ora i giornalisti non
sono in servizio. Qualcuno ha anzi risposto infastidito quando è stato
avvisato.
La pattuglia della Guardia di Finanza immediatamente da l'allarme.
Nel giro di cinque minuti sul posto arrivano una cinquantina di carabinieri,
poliziotti e finanzieri. Si tratta del personale di tutte le stazioni locali dei
carabinieri. Non ci sono poliziotti in assetto antisommossa. Ultima arriva anche
la Digos di Avellino.
Le forze dell'ordine sono preoccupate, temono gesti estremi,
pensano che qualcuno degli operai della IRISBUS possa buttarsi fra le biciclette
con conseguenze disastrose.
Ma gli operai della IRISBUS non sono terroristi, ne pazzi, ne
hanno alcuna voglia di suicidarsi o fare male a chicchessia. Vogliono che di
loro si parli a livello nazionale, che tutti i tifosi del ciclismo sappiano che
l'Italia che il Giro sta attraversando è piena di sofferenze, di fabbriche
chiuse, di persone disperate e senza stipendio, di servizi sociali sempre più
inesistenti, di misere pensioni che non bastano neppure per una settimana di
vita. Chiedono rispetto per la loro dignità di uomini e donne che non vogliono
assistenza ma un lavoro che gli consenta di contribuire al benessere del proprio
paese che è invece abbandonato da chi a questo paese ha solo succhiato il
sangue.
Qualche giornalista pieno di spocchia li ha chiamati
“metalmezzadri”, un po' metalmeccanici, un po' mezzadri. Come dire persone né
carne né pesce, né contadini né operai della grande industria. “Metalmezzadri”,
cioè persone non-persone e perciò più facilmente controllabili, più facilmente
ricattabili, senza alcuna coscienza della propria condizione e del proprio ruolo
sociale. Persone che mai avrebbero dovuto o potuto alzare la loro testa e
rivendicare la propria dignità.
Ma ancora una volta i lavoratori della IRISBUS hanno dimostrato a
questi giornalisti chiusi nei loro uffici a leggere libri o notizie che parlano
di persone di cui non hanno mai neppure sentito l'odore o con cui non hanno mai
neppure scambiato una parola o preso un caffe al bar, che una coscienza del loro
essere cittadini di una “Repubblica fondata sul lavoro” loro ce l'hanno. Sono
altri che hanno scelto di tradire quella Costituzione e che si sono prostituiti
al dio denaro e agli interessi di una piccola e ristretta casta di possidenti
beceri e gaudenti.
Ed è grazie all'umanità dei lavoratori dell'Irisbus e alla loro
coscienza di cittadini che chiedono il rispetto per la loro dignità umana, che i
rapporti con i rappresentanti delle forze dell'ordine a Contrada Bosco non sono
degenerati. Dopo un primo momento di tensione la situazione si è infatti subito
rasserenata. Carabinieri, finanzieri e poliziotti che vivono sul territorio e
che conoscono bene la gente con la quale hanno a che fare tutti i giorni, hanno
subito impostato il rapporto sul piano umano ed anche se le loro preoccupazioni
sono finite solo quando i corridori sono passati tutti senza alcun danno, sono
stati tutti molto solidali e comprensivi. “Vi comprendiamo, conosciamo la vostra
situazione, siamo solidali con voi, ma dovete capire che il Giro non si può
bloccare”. Queste le parole che hanno ripetuto continuamente i carabinieri che
il territorio lo conoscono meglio di chiunque altro. Uno di loro, credo un
comandante di stazione, ci ha tenuto a sottolineare che lui non dava ordini a
chi non avesse la sua stessa divisa addosso, per dire come il suo atteggiamento
e quello delle forze dell'ordine li presenti non era quello repressivo.
Del resto anche le forze dell'ordine stanno vivendo la crisi
economica. Anche loro devono fare i conti con l'innalzamento dell'età
pensionabile, con il taglio delle loro retribuzioni, spesso anche con la
mancanza di fondi per le spese vive quali la benzina per le auto e la carta per
le fotocopie. Sono tantissimi quelli di loro che comprendono come non si possa
chiedere ad una persona di 67 anni di svolgere un lavoro delicato e rischioso
come quello che essi svolgono. La convinzione che “un uomo di 67 anni che usa
armi è un pericolo per se e per gli altri” è molto diffusa fra i poliziotti.
Arriva poi la carovana del Giro. Una lunga fila di macchine
strombazzanti, un lungo spot pubblicitario dal vivo che ha disturbato persino i
morti. I guidatori di queste auto sembrano spiritati, magrissimi, tirati a
lucido. Ci guardano come se i mostri fossimo noi. Sono costretti a rallentare e
questo li disturba. Gli operai dietro il loro striscione gridano forte lo slogan
“L'Irisbus non si tocca, lo difenderemo con la lotta”. Arriva una Maserati
bianca con due vecchi a bordo. Sono i patron della corsa. Rallentano, gli operai
gridano con ancora più forza il loro slogan. Qualcuno di loro inveisce contro la
loro ricchezza: “loro in Maserati e noi alla fame”, “Vergogna”, e, rivolti alle
forze dell'ordine, “chiedetegli se pagano le tasse, identificateli”. Arriva
l'auto della Gazzetta dello Sport, si fermano, chiedo loro di raccontare ai loro
lettori che cosa sta accadendo in quel luogo. Accendono la telecamera e
registrano quello che dico, arriva un operaio della Irisbus che aggiunge una
serie di cose. Vanno via. Siamo convinti che quello che gli abbiamo detto non
gli ha fatto né caldo né freddo. Hanno una corazza di egoismo che impedisce loro
di commuoversi o immedesimarsi in quello che vedono e sentono. Un altro
giornalista ci dice che dovunque il giro è passato ci sono stati episodi simili.
L'Italia soffre e lo grida forte come può. Ma chi queste sofferenza dovrebbe
raccontarle tutti i giorni spesso chiude orecchie occhi e bocca e, soprattutto,
spegne il suo cuore.
Poi arriva la Rai, fa la ripresa che gli operai dell'IRISBUS hanno
concordato con le forze dell'ordine, viene data la notizia in diretta di ciò che
sta accadendo. Il risultato che ci si era prefisso è stato ottenuto. Poi
arrivano i corridori, due soli in testa, arrancano sulla salita circondati da un
mugolo di motociclisti, mai visti tanti tutti insieme. Non si capisce come
facciano i corridori a respirare con tutti i gas di scarico nei quali sono
immersi e dove trovino l'ossigeno necessario per salire come stanno facendo.
Forse si accorgono di noi, ma tirano dritti. Sentono sicuramente gli operai che
gridano in continuazione il loro slogan. Guardano il loro striscione tirato su
per farlo vedere anche dall'elicottero che dall'alto segue il giro in diretta.
Qualcuno in Italia, anche se per pochi secondi, ha saputo che qui in Irpinia c'è
chi soffre ma anche che vuole lottare fino in fondo per riscattare la propria
terra e dare dignità e fiducia ad un'intera provincia ed ai suoi lavoratori.
Dopo pochi minuti passa un altro corridore isolato. Anche lui è
bombardato dagli slogan. Passa ancora qualche minuto è si vede in fondo alla
strada giù in basso il gruppo compatto che affronta la salita. Gli slogan
diventano ancora più forti e continui. Tutta la gente del circondario è insieme
agli operai e grida insieme a loro come se fossero una sola cosa. Griderebbero
anche i carabinieri. “Non possiamo farlo noi – dirà poi un carabiniere – perché
altrimenti questi ci arrestano”. In fondo al gruppo c'è la lunga fila delle
“ammiraglie”, decine e decine di auto cariche di biciclette. Uno che ho di
fianco si chiede quanto costino quelle biciclette. Io azzardo la cifra di
duemila euro. Il carabiniere che ho di fronte e che fa da scudo umano con la
gente che sta ai bordi della strada, mi dice che non sono informato: “una
bicicletta di quella costa quindicimila euro, con duemila vi comprate solo una
ruota, sono tutte di titanio”. Evidentemente sono rimasto molto indietro
sull'argomento. Anche sulle biciclette, come sui salari, il divario è enorme fra
i comuni mortali e chi sta al top della scala sociale.
Passate le ammiraglie la tensione si scioglie. Ci sono i
camioncini che vendono i gadget del Giro. Qualche bambino le compera. Le forze
dell'ordine sono visibilmente contente per come è andata, nessun incidente,
ancora una volta è andata in scena una semplice dimostrazione di civiltà, forza
d'animo e volontà di riscatto da parte degli operai della IRISBUS. Ci si saluta
come vecchi amici. Qualcuno prende appuntamento per un caffè al bar. Come capita
qui al sud, qualcuno scopre di avere amici in comune, o di vivere nello stesso
paese. L'umanità, checché ne dicano i professori incartapecoriti che compongono
il peggior governo di destra della storia della repubblica, va avanti e riuscirà
a sopravvivere alle lacrime della Fornero e a quelle ultime di Napolitano.
Fra i presenti su quella salita a Contrada Bosco c'erano anche
operai di piccole fabbriche della zona. Anche loro a rischio chiusura. Altre
vittime del capitalismo imperialistico finanziario che affonda nei suoi debiti
si annunciano.
Ci lasciamo con l'impegno di chiedere ai sindacati provinciali la
proclamazione di uno sciopero generale di tutta la provincia. Nei prossimi
giorni si passerà dalle parole ai fatti. Non si può più aspettare.
Giovanni
Sarubbi
Lunedì 14 Maggio,2012 Ore: 12:00 |